
<< Io esco, ci vediamo domani! >>
<< Mettiti qualcosa di pesante. Fa freddo stasera. >>
Ammettilo: ce lo siamo sentiti dire tante, tantissime volte da nostra madre in apprensione, dal nostro partner di vita o dalla nostra voce interiore.
E si va subito a indossare il piumino, per sentire ancora un po' del tepore di casa, per affrontare con maggior coraggio e con equipaggiamento adeguato lo stratega militare del generale inverno.
Dopotutto come si fa a dire di no alla sofficità che ci avvolge, al calore che si isola dal mondo esterno nel momento in cui alziamo la cerniera del giubbotto, alla chimica che nasce quando la comodità si lega all'eleganza?
Beh, amico mio, conosco la risposta.
Posso scardinare le sensazioni che calziamo con questo indumento invernale – calore, candore e perché no? Anche tenerezza - con due, semplici parole:
“Allevamento intensivo”.
Un nome e un aggettivo. Un accoppiamento semantico che nasconde una cruda realtà di torture reiterate ai danni di paperottoli (i pulcini di oca) inermi e privati del piumaggio, e che racconta di spazi vitali angusti, dove neanche un metro quadrato ti è concesso.
<<Aspetta un attimo, una cosa del genere è davvero consentita?>>
In Italia la legge parla chiaro, si tratta dell'articolo 19 del decreto legislativo 146/2001 che vieta la spiumatura dei volatili da vivi.
Ma è un divieto facilmente aggirabile in un sistema giuridico più grande, l'Europa, dove non è illegale il processo di acquisizione di questo materiale morbido e pregiato, a patto di rispettare le procedure e le norme igienico-sanitarie a tutela del animale.
Infatti la normativa europea prevede la pettinatura come unico metodo per ottenere le piume. Le oche non subirebbero né traumi fisici né stress da trattamento.
Le norme, si sa, sono per gli onesti e i naïve.
Ci sono molti paesi dell'unione che non fanno rispettare a dovere le regole, in particolare l'Ungheria che detiene il maggior numero di allevamenti di oche per le piume in tutta l'Europa, seguita da Polonia e Romania.
Luoghi dove le crudeltà verso gli animali vengono ripetute non una volta bensì cento al giorno per ogni operaia, che cerca di migliorare sempre di più in quello che fa, tra l'apatia e l'assuefazione di chi è abituato a cedere alla violenza ogni giorno.
Perché è un lavoro a cottimo e più spiumano, più saranno pagate quindi giù a strapiombo in questo loop di paura, dolore e sangue.
Tanto non è il loro, tanto la coscienza se laveranno con la prossima lavata di mani.
Ma ti dopo una possibilità: entra con me, sii partecipe di quello che succede e che non sei al corrente. Stavolta però lasciamo da parte i panni da homo sapiens.
Immergiamoci senza esitazione in un luogo asfissiante, sporco e inospitale con gli occhi di una delle vittime. Vediamo cosa si prova a sentirci come “un'oca in trappola”.
Come ti sentiresti a trovarti dall'altra parte delle sbarre?
Freddo, un freddo inumano.
L'aria buia che circonda me e le mie compagne di sventura in questo mondo ristretto, mi fa male: è come una lama affilata a contatto con la pelle, ormai nuda e coperta solo da cicatrici esposte. Le addette alle torture sono rapide ma non precise in ciò che fanno.
Il vero dolore è almeno passato per oggi, anche se è sempre più dura resistere. Oggi è stato il turno della mia vicina di prigionia.
Ha strillato, si è dimenata, opponendo una fiera resistenza ma hanno continuato a strapparle senza sosta, una zona dopo l'altra, lo strato superiore della pelle finché non si è agitata in preda alle convulsioni, ha urlato flebilmente e non si è mossa più.
Quella vista macabra aveva innescato qualcosa. Una forza antica ne aveva approfittato per prendere possesso di nervi e muscoli, costringendomi all'inerzia.
Neanche le lacrime marciavano più verso l'esterno.
Ero incapace di compiere il minimo movimento e ho continuato a subire, stavolta in silenzio.
Poi un'idea debole, stanca ma pur sempre tale. Tempo di formularla che avevo già chiuso gli occhi e iniziato a sperare.
Nella fine dell'incubo, la fine del terrore.
La fine di tutto.
E così è stato. È finita, per ora.
Questa è la mia terza volta e la prima la ricordo a malapena, ero piccola. Avevo iniziato a muovermi da poco nel mondo, a vivere in quel che si sarebbe rivelato un inferno oscuro e personale.
Il freddo continua a mutilarmi dentro, fino all'anima. Vale la pena resistere o sarebbe meglio lasciarsi andare all'ignoto? Tanto entrambe le strade porteranno alla stessa sorte.
Infatti nessuna è mai andata oltre la quarta tortura periodica: svaniamo, inghiottite dal buio che ci desidera ancor più delle nostre carnefici.
Scomparirò anch'io - lo so- come le piume che non ho mai potuto usare per fuggire, per volare via.
Terrificante, vero?
Ora sai.
Sai cosa accade dentro ai questi luoghi di morte a causa di brand sleali, come moncler: l'azienda italiana tessile finì in uno scandalo tra il 2014 e il 2015 per un servizio di report, proprio su questa tematica scottante.
La società ha pagato e certamente ha subito un duro impatto all'immagine per via della gnogna mediatica ma tante altre aziende sono rimaste impunite, coperte dall'anonimato del mancato smascheramento.
<<Quindi non possiamo più fidarci di nessun brand che tratta articoli del genere?!?>>
Frena un secondo! Non intendo questo...
Ti sto rendendo partecipe di una realtà e capace di poter prendere la scelta che riterrai giusta.
Perché, se è vero che ci sono molti, troppi brand sleali che lucrano sul dolore di un animale indifeso, ci sono altrettanti che combattono a spada tratta per far passare un concetto semplice ma efficace: si può fare moda anche in maniera ecosostenibile.
L'esempio che ti propongo è “Save the duck”, il primo brand italiano ad aver ottenuto la “B Corporation”, sposando una politica 100% animal-free e cruelty-free.
<<Cos'è la “B Corporation”?>>
Tranquillo, ti schiarisco le idee.
Una B Corporation – semplificato “B Corp” – è una certificazione che attesta l'impegno attivo di un business alla sensibilizzazione e promozione di attività sociali e ambientali.
Capirai che non si sente tutti i giorni di un fashion brand che può fregiarsi di un titolo così importante.
D'altro canto, sono la scuola di pensiero e i meriti a parlare da sé.
L'azienda infatti ha brevettato la tecnologia “plumtech” che consiste in un'imbottitura leggera, in una particolare ovatta in poliestere, e traspirante che riproduce la morbidezza della piuma d'oca senza tralasciare la capacità di isolante termico. Inoltre permette una rapida asciugatura, ed è altamente igienico.
Ma “Save The Duck” non si è fermato qui, crede nella natura e cerca di rispettarla il più possibile. Sulla base di queste riflessioni nasce il brevetto “Plumtech Recycled”, le cui fibre di poliestere derivano completamente da materiale riciclati, pur mantenendo intaccate le caratteriste del prodotto citate prima.
E se questo non ti sembra abbastanza esemplificativo, ora ti presento la policy di “Womsh”, un altro brand italiano che ha a cuore il destino di madre natura e delle sue creature.
Il marchio pratica una “moda sostenibile” - te ne accorgerai, se visiterai il sito web ufficiale - e lo fa tramite la ricerca e l'utilizzo di materiali a basso impatto ambientale, che salvaguardano non solo l'ecosistema ma anche la salute dell'uomo.
Come “Bianca”, una pelle ottenuta con un particolare processo di conciatura che non prevede l'utilizzo di metalli pesanti. Più sicurezza per l'uomo, o meglio gli operai di filiera, più tutela dell'ambiente, visto che non comporta la produzione di scarti industriali inquinanti, dannosi e tossici.
O come la “Apple skin”, un materiale innovativo, composto al 50% da Poliuretano e per l'altro 50% da fibra di mela.
<<Come scusa?>>
Hai capito benissimo, fibra-di-mela!
Apple skin è un materiale atossico, eco-friendly perché ottenuto da residui industriali – invece di smaltirli, non è più diverte e creativo vedere come riciclarli? – ma soprattuto capace di sopportare lo stress meccanico e fisico a cui il prodotto finale sarà sottoposto.
Se ti interessa approfondire, la società inventrice di “Apple skin” è la Frumat leather.
Bene, ora possiamo dire che siamo davvero “alla frutta”, amico mio. Hahaha...
... scherzi a parte, abbiamo visto insieme il dolore dell'essere sfruttati ed è brutto, sempre, per qualsiasi essere vivente, poi abbiamo preso consapevolezza che un'alternativa già esiste, bisogna solo crederci nel cambiamento.
Lo ha fatto Giuseppe – “Pino” per gli amici –, Daniele e tutto il team di Ideal Moda: hanno deciso di credere, agire e scegliere per il loro assortimento questi due brand, che io ormai percepisco come due veri e propri movimenti green.
La loro causa è la nostra causa, non mostriamoci indifferenti su queste tematiche che ci sembrano così lontane: non viviamo dopotutto nella stessa briciola di universo?
I ragazzi di Ideal Moda, come se non bastasse, hanno fatto di più.
Trattano anche articoli imbottiti con il materiale “incriminato” ma sono prodotti certificati, la cui origine si attesta in filiere di produzione che eseguono solo la pettinatura per l'ottenimento delle piume.
L'unica, singola conseguenza per queste accortezze è il costo leggermente maggiore, poiché ci vuole molto più tempo per ottenere il quantitativo necessario per singolo capo e perché se ne possono produrre pochi.
Come posso non acquistare da persone così eticamente giuste, attente?
La mia risposta già la conosco e credo di intuire la tua, essendoci conosciuti un po' lungo questo percorso.
Non ci penserai oltre, agirai con giudizio e parteciperai a qualcosa di più importante: il cambiamento.
Tassello anche tu in quel mosaico indefinito che i sognatori chiamano ancora “futuro migliore”.